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Il fazzolettone scout ti dona”… con questa frase mi avvicino a Luigi Ciotti alla fine del suo vibrante discorso. Sorride: “Ogni volta me ne mettono al collo due o tre, e poi se ne vanno senza riprenderli. Ormai ho una collezione numerosa”.
Casal di Principe, 19 marzo 2009. 15° anniversario della uccisione di Peppe Diana: uomo, prete e scout.
L’uniforme perfetta ormai è un lontano ricordo, ma anch’io mi oggi sono messo al collo il mio fazzolettone verde con il bordino giallo, miracolosamente sopravvissuto all’ennesimo trasloco milanese.
Le ricorrenze sono importanti, perché ci mantengono in vita anche quando la morte sembra avere il sopravvento. E ancora una volta penso che è proprio il distacco quello che di cui abbiamo più paura….. si fraternizza con il paesaggio dopo la fatica della zaino in spalla, si piantano le tende e, proprio sul più bello, è già ora di partire: quante volte lo scoutismo ci ha fatto affrontare questa dinamica della vita!
Ricordo che, quando ero Novizio, era sempre difficile rimettersi in marcia e, ogni volta che ritornavo a casa, era tutto e solamente un aspettare la successiva uscita. La città da una parte, così indecifrabile e indigeribile;  il bosco dall’altra, così desiderabile e terapeutico.
Grazie a Dio e ai compagni che ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada, ad un certo punto la prospettiva è iniziata a cambiare.
Le distanze, piano piano, si sono colmate. E il bosco è arrivato, tutto d’un tratto, in città.
Già, “il bosco in città”: così chiamammo quella attività che, il 10 giugno 2001, segnò l’ultima tappa di un percorso che vide impegnata tutto il nostro Gruppo Scout per un intero anno.
La ricorrenza dei 18 anni del Seregno 1 era stata per noi tutti spunto per riflettere sul tema della “storia” e della “maturità”. Un compleanno diverso dal solito, iniziato con quella pazza idea che si realizzò tra il 16 e il 17 dicembre del 2000: l’intero Gruppo Scout diviso in 16 cellule (ognuna delle quali formata da alcuni capi e da ragazzi di Clan, Noviziato, Reparto e Branco) e una uscita che aveva come “unico” scopo quello di girare per le case dei componenti.
Un modo semplice ma efficace perché ciascuno potesse raccontare la propria storia, far vedere la propria casa, far conoscere la propria famiglia. Camminare, parlare, mangiare, dormire: per la prima volta agli scout ma pur sempre a casa.
Raffaella ed io recuperammo, per l’occasione, le diapositive più significative dei nostri anni nel Seregno 1. E in effetti la storia del Gruppo Scout e la nostra si era ormai inesorabilmente incrociata già da alcuni anni: “Ad Astra per Aspera”, come il nome del “nostro” Noviziato.
Nel corso dell’anno, ciascuna Unità era stata poi invitata a lavorare sulle proprie origini. Le storie del Branco, del Reparto e della Branca R/S nel Seregno 1: tutte partono da un preciso anno, sono caratterizzate da un nome che ha un determinato significato, con una sede che ha dei particolari oggetti, con dei diversi capi nei diversi anni,  delle imprese e dei campi che si sono fatti, delle tradizioni e delle cerimonie,  degli aneddoti e delle leggende che si tramandano nel tempo.
Fino ad arrivare ai segni lasciati sul territorio: dal tendone Unicef in Piazza Italia (nei periodi pre-natalizi del 1992, 1994 e 1996, con incassi in beneficenza pari – ogni volta – ad oltre 7 milioni di lire) per arrivare al progetto di interazione tra Gruppo Scout ed Amministrazione comunale che fu presentato nel 2001 in riferimento al Parco della Porada.
Ricordo “Il bosco in città” come una esperienza significativa per l’intero Gruppo, culminato in un grande gioco ambientato nelle vie e piazze del centro di Seregno e aperto a tutta la cittadinanza.  Con questo “rito” siamo diventati maggiorenni e, forse per la prima volta, usciti consapevolmente dalle quattro mura della nostra sede scout.
E, alla fine, il 10 giugno 2001 riuscii anche nel mio personalissimo intento: far navigare le canoe del Gruppo nella grande fontana del Parco 25 Aprile! E non cadere rovinosamente in acqua, come invece mi accadde quindici anni prima quando vennero per la prima volta collaudate nel lago di Pusiano.
Ora che ci ripenso, quello fu l’ultimo mio anno in Comunità Capi e la positiva esperienza della “pattuglia 18 anni” ha reso meno triste il mio distacco dal Seregno 1.
Ma da allora, per quanto mi riguarda, il bosco è rimasto in città. Anzi, inesorabilmente, si è trasformato nella città in cui vivo e lavoro.
Faccio ancora almeno una uscita scout all’anno, che da 7 anni a questa parte prevede che circa 30 ragazzi/e della Branca R/S, provenienti da tutta la Lombardia, trascorrano un fine settimana tra il Tribunale di Milano e il carcere di San Vittore. Con l’idea che non occorra passare attraverso i luoghi della città ma, invece, farli passare attraverso di noi: ascoltarne il ritmo e la storia, facendo tesoro delle testimonianze di coloro che – prima e dopo il nostro passaggio – ci vivono a stretto contatto e di quei luoghi racchiudono il significato più vero e nascosto.
E poi l’impegno con Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie) che iniziò proprio nell’estate del 2001, con la partecipazione al campo di formazione antimafia tenutosi a Casal di Principe. Sono ritornato in questa terra martoriata 8 anni dopo e il fazzolettone verde con il bordino giallo del Seregno 1, che porto oggi al collo, significa tutto questo: il tempo passato, le stagioni che ritornano, la vita e la morte.
A volte ci sarà anche capitato di aver paura di crescere: in quei momenti di fatica lo Scoutismo sicuramente ci ha fornito tutto quello di cui avevano bisogno. Perché lo Scout non arriva, parte. Ogni mattina.
Eppure è il distacco che ci fa paura. A partire dalla quello apparentemente più semplice: il distacco da sé stessi, ovvero comprendere che è possibile fare qualcosa di più per gli altri che ci stanno accanto ogni giorno. Lasciar morire il seme affinchè finalmente possa iniziare a germogliare, diventare grande e, con sudore e tanta pazienza, donare frutti maturi.
Ancora di recente, celebrando il centenario dello Scoutismo attorno al fuoco di San Tomaso di Valmadrera con alcuni tra i più cari amici scout, dall’alto della ritrovata quiete di quella collina la visione in lontananza delle luci della città è ritornata a farmi male allo stomaco.
Ma, come diceva Don Peppe Diana ai suoi parrocchiani, “non c’è bisogno  di essere eroi, basterebbe ritrovare il coraggio di aver paura, il coraggio di fare delle scelte”.

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Parole di uno Scout che ha lasciato il segno nella sua Città. E che, oggi, l’ha fatta rifiorire chiamando a raccolta tutti noi, insieme a migliaia di altri scout provenienti da ogni città d’Italia, per fare ciascuno la propria parte.
Per questo mi auguro e vi auguro: Buona Strada!